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LA COMUNICAZIONE NEI CONTESTI FORMATIVI


COS’È LA COMUNICAZIONE

Il termine comunicazione deriva dal verbo latino “communico”, che significa “mettere in comune”, “far partecipe”, e può essere definito come l'insieme dei fenomeni che comportano lo scambio di informazioni tra interlocutori.

Watzlawick, Beavin e Jackson pubblicarono "Pragmatica della comunicazione umana" in cui definirono la funzione pragmatica della comunicazione, vale a dire la capacità di provocare degli eventi nei contesti di vita attraverso l’esperienza comunicativa, intesa sia nella sua forma verbale che in quella non-verbale.

La scuola di Palo Alto, cui gli autori appartengono, ha postulato 5 assiomi della comunicazione umana:

  1. Non si può non comunicare.

Qualsiasi comportamento è comunicazione e, non esistendo un non-comportamento, non esiste una non-comunicazione. Ogni comportamento assunto da un individuo che si trova insieme ad altri diventa immediatamente portatore di significato e ha dunque valore di messaggio.

  1. In ogni comunicazione si ha un livello comunicativo di contenuto e uno di relazione, di modo che il secondo classifica il primo.

L’aspetto di relazione di una comunicazione è definito dai termini in cui si presenta la comunicazione stessa, dal paraverbale e non-verbale che ad essa si accompagna e dal contesto in cui questa si svolge. La frase può essere pronunciata come un rimprovero o come una battuta bonaria, definito dalla natura della relazione, classificando così la valenza del contenuto.

  1. L’interpretazione del messaggio dipende dalla punteggiatura

La punteggiatura delle sequenze di scambi comunicativi tende a differenziare la relazione tra gli individui coinvolti nell’interazione e definisce i loro rispettivi ruoli. Il disaccordo su come punteggiare la sequenza di eventi si trova alla radice di innumerevoli conflitti di relazione. Watzlawick fa l’esempio della cavia da laboratorio che dice: “Ho addestrato bene il mio sperimentatore. Ogni volta che io premo la leva lui mi dà da mangiare”; quest’ultimo non accetta la punteggiatura che lo sperimentatore cerca di imporgli, secondo la quale è lo sperimentatore stesso che ha addestrato la cavia e non il contrario.

  1. Ogni comunicazione è composta da un modulo numerico (verbale) e da un modulo analogico (non verbale).

Come stabilito nel secondo assioma, ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione, il primo è trasmesso essenzialmente con un modulo numerico (digitale) e il secondo attraverso un modulo analogico.

Il modulo digitale utilizza le parole ossia segni arbitrari e privi di una correlazione con la cosa che rappresentano, ma che permettono una manipolazione secondo le regole della sintassi logica che li organizza. Possiede, per tanto, un grado di astrazione, di versatilità, nonché di complessità e sintassi logica enormemente superiore rispetto alla comunicazione analogica, ma anche dei grossi limiti per quanto riguarda la trasmissione dei messaggi sulla relazione tra i comunicanti.

Nella comunicazione analogica esiste una correlazione tra ciò che viene rappresentato e il messaggio poiché in ciò che si usa per rappresentare l’informazione è presente qualcosa di simile all’informazione stessa. Per questo motivo, risulta molto più ricca e significativa quando la relazione è l’oggetto della comunicazione in corso, al tempo stesso, però, può risultare ambigua a causa della mancanza di sintassi, di indicatori logici e spazio-temporali.

  1. Gli scambi comunicativi possono essere di tipo simmetrico, e di tipo complementare.

Si riferisce alla natura delle relazioni, suddivise in relazioni basate sull’uguaglianza oppure sulla differenza. Nel primo caso si parla di relazioni simmetriche, in cui entrambi i partecipanti tendono a rispecchiare il comportamento dell’altro poiché condividono lo stesso livello di ruolo; nel secondo si parla di relazioni complementari, in cui il comportamento di uno dei comunicanti completa quello dell’altro, che è, in qualche modo, superiore.

I LIVELLI DELLA COMUNICAZIONE

La comunicazione si esprime attraverso tre diversi livelli. Il primo è quello che descrive la componente verbale della comunicazione. Questa indica ciò che si dice (o che si scrive, nel caso di una comunicazione scritta): la scelta delle parole, la costruzione logica delle frasi e l'uso di alcuni termini piuttosto che di altri individua questo livello. Il secondo livello è quello paraverbale, cioè il modo in cui qualcosa viene detto. Ci si riferisce al tono, alla velocità, al timbro, al volume, ecc. della voce., mentre nella scrittura possiamo pensare all'uso della punteggiatura, capace di infondere un certo ritmo a quello che si legge. Il terzo aspetto riguarda il non verbale: tutto quello che si trasmette attraverso la propria postura, i propri movimenti, ma anche attraverso la posizione occupata nello spazio, la distanza dall'interlocutore, gli aspetti estetici quali il modo di vestire o di prendersi cura della propria persona, ecc.. Nella comunicazione scritta o telefonica questo fattore viene meno, in quanto non viene trasmessa la "fisicità", in senso ampio, dello scrittore.

Secondo un classico studio americano degli anni ‘60 (Albert Mehrabian) in una fase iniziale di conoscenza il livello della comunicazione che maggiormente incide è quello non verbale, l’efficacia comunicativa sembra essere determinata secondo le seguenti percentuali di impatto: Verbale 7% - Paraverbale 38% - Non Verbale 55%. Quando i tre livelli esprimono lo stesso messaggio o messaggi tra loro compatibili definiamo la comunicazione congruente. Il formatore deve essere attento ad utilizzare un sistema di comunicazione congruente, che contribuisca a creare un clima rassicurante e di fiducia. La comunicazione incongruente, invece, è caratterizzata dalla presenza di livelli diversi tra loro incompatibili, in questo caso, i livelli para verbale e non verbale sono quelli che arrivano maggiormente all’interlocutore, l’incongruenza della comunicazione del formatore rischia di fargli perdere la credibilità di fronte all’aula.

LA COMUNICAZIONE EFFICACE

La comunicazione svolge un ruolo primario nei contesti formativi, dove l’efficacia della comunicazione si misura in base alla coerenza tra l’interpretazione del partecipante e l’obiettivo (intenzione comunicativa) del formatore. Per favorire il raggiungimento di questo scopo il formatore deve sempre essere consapevole delle proprie modalità comunicative e del fatto che il significato della propria comunicazione è da rintracciarsi nella risposta (feedback) che ottiene dagli interlocutori, indipendente dall’intenzione che ha nell’inviarla. Infatti, il significato del messaggio non può essere trovato in ciò che pensiamo di esprimere, ma solo nel modo in cui il nostro interlocutore ci risponde, perché in quel momento rivela come la sua mappa ha elaborato il nostro messaggio, indipendentemente dalle intenzioni dell’emittente, “trasmissione di parole che diventano comunicazione solo se acquistano un significato nella mente di chi li riceve” (H. Leavitt)

È importante tenere in considerazione il fenomeno della dispersione delle informazioni all’interano delle comunicazioni, nel corso del processo comunicativo, infatti avviene sempre una dispersione-perdita di parte delle informazioni nel percorso:

  • Ciò che si vuole dire

  • Ciò che si dice

  • Ciò che l’altro sente

  • Ciò che l’altro ascolta

  • Ciò che l’altro comprende

  • Ciò che l’altro trattiene

Imparare ad utilizzare le risposte dei propri interlocutori come feedback è utile a verificare in che modo la comunicazione è giunta al destinatario e, se necessario, qualora si riscontrino delle distorsioni, a ricalibrare la propria comunicazione.

Il feedback non è un giudizio, non ha valenza positiva o negativa, esso si attiene esclusivamente agli aspetti comportamentali osservati e non sulla persona, non è accompagnato da interpretazioni o assunzioni personali ed è impostato attraverso il messaggio Io.

L’efficacia dei tre livelli comunicativi si basa su elementi che il formatore deve tenere presenti.

Per quanto riguarda il livello verbale, il linguaggio è considerabile efficace quando è semplice e in sintonia con l’uditorio: deve essere comprensibile (chiarezza espositiva: ricordare di formulare periodi semplici e chiari) e adattato al livello culturale del target (calibrazione: fare attenzione a termini tecnici, espressioni e modi di dire, termini dialettali etc); deve contenere esempi concreti tratti da un vissuto vicino a quello dei partecipanti, poiché il linguaggio astratto non trasmette facilmente i concetti, ma anche il linguaggio metaforico ha un forte impatto emotivo, evocare immagini con agganci a cose concrete e ben conosciute stimola il pensiero e l’immedesimazione di chi ascolta.

La regola delle cinque C:

  • CHIAREZZA → creare un messaggio diretto, senza ambiguità;

  • COMPLETEZZA → il messaggio deve contenere tutti gli elementi necessari per capire la logica dei ragionamenti;

  • CONCISIONE → arrivare al punto con poche parole;

  • CONCRETEZZA → usare esempi e metafore su fatti ben delineati;

  • CORRETTEZZA → occorre avere reciproca fiducia, onestà e sincerità.

Relativamente alla comunicazione para-verbale, la voce rappresenta uno strumento che ogni formatore dovrebbe apprendere a conoscere e modulare in modo consapevole e funzionale. Le principali caratteristiche della voce sono:

  • TIMBRO → poiché difficilmente modificabile è basilare che un formatore familiarizzi con il proprio timbro facendo esercizi per apprendere a conoscerlo e apprezzarlo;

  • VOLUME → bisogna familiarizzare con il volume della propria voce sperimentandone la possibilità di cambiarlo in modo intenzionale. Spesso la voce si abbassa all’apertura dell’eloquio quando la tensione è più alta è, per questo motivo, utile posizionarsi mentalmente sulla persona più lontana immaginando di dover parlare proprio con lei;

  • TONO → che dovrebbe essere utilizzato funzionalmente per mettere in risalto i messaggi chiave, inoltre, dovrebbe presentare una certa varietà e modulazione anche per stimolare l’attenzione, è utile ricordare che è la respirazione ad influire sul tono;

  • VELOCITÀ → eccessiva velocità conferisce un’impressione di nervosismo, non facilita la concentrazione e inibisce gli interventi, al contrario, un’eccessiva lentezza dà l’impressione di difficoltà espositiva e spesso genera torpore;

  • PAUSE → possono essere un ottimo strumento per regolare la velocità, non bisogna aver paura del silenzio poiché la pausa conferisce forza emotiva al messaggio: pausa- messaggio chiave-pausa, inoltre aiuta a richiamare l’attenzione e riduce il numero delle non parole che facendo da ponte sonoro per evitare i silenzi possono essere utilizzate, in modo non corretto, per placare l’ansia.

Per quanto riguarda la comunicazione non verbale gli elementi da tenere in considerazione sono:

  • CONTATTO VISIVO → “Per farsi capire dalle persone bisogna parlare prima di tutto ai loro occhi” (Napoleone). Un efficace contatto visivo equamente proiettato su tutti i partecipanti favorisce la percezione di un oratore sicuro e padrone dell’aula, stabilisce contatto emotivo, aiuta a mantenere viva l’attenzione, permette di cogliere segnali comunicativi inviati dai partecipanti, aiuta il formatore a mantenere la relazione e la concentrazione.

Da evitare: lo sguardo nel vuoto che tendenzialmente genera sensazioni di insicurezza e di disinteresse o lo scanning, ossia scorrere con lo sguardo con un rapido movimento degli occhi che su tutti e su nessuno. Una “toccata e fuga” visiva che crea facilmente problemi di distrazione, rivolgere lo sguardo solo verso alcune persone, può capitare che il formatore distribuisca in modo poco uniforme il contatto visivo all’interno del gruppo classe. Ma l’errore può anche essere quello di rivolgere lo sguardo e ricercare costantemente il contatto visivo solo con volti amici, compiacenti o con coloro di più alto ordine gerarchico. Inoltre, alcuni formatori, rispetto allo sguardo, possono essere destrogiri o levogiri, in tal caso è importante conoscere le proprie caratteristiche per evitare di guardare solo metà dell’aula posizionandosi ad una delle estremità (sempre senza rigidità). In fine, un altro errore è dare troppo le spalle all’uditorio: spesso questo problema è generato: da supporti visivi errati, dal voler rifuggire lo sguardo dell’uditorio (pseudo lettura).

  • POSTURA → “Il segreto di una presentazione di successo sta nel rifuggire due cose: la lettura e la voglia di nascondersi dietro un leggio” (P. Le RouX). La prima forma di credibilità che un formatore deve guadagnarsi passa prima di tutto da una serie di percezioni emotive tra cui quelle trasmesse dalla posizione del corpo.

  • ORIENTAMENTO SPAZIALE E DISTANZA INTERPERSONALE → il modo in cui le persone si situano rispettivamente nello spazio è indice di atteggiamenti interpersonali; la distanza che adottiamo dalle altre persone varia a seconda del tipo di rapporto e secondo Hall può essere intima – fino a 40 cm, di frequente seguita dal contatto fisico – personale– da 40 a 120 cm, quando si vuole parlare in segretezza, isolandosi dagli altri – sociale – da 120 a 360 cmq, tipica del contatto formale – e sociale – dai 360 cmq in poi, conferenze, estraneità tra gli interlocutori. All’interno dell’aula è utile che il formatore entri nello spazio vicino al gruppo evitando di rimanerne sempre all’esterno, in modo tale da comunicare apertura e confidenza nei confronti dell’aula.

  • GESTUALITÀ → insieme alla mimica, costituisce un forte supporto visivo alla comunicazione, ha la funzione fondamentale di rinforzare ciò che viene detto e fornire dei feedback quando sono gli altri a parlare, inoltre, è funzionale a bruciare positivamente energia nervosa. Spesso quando si inizia a fare formazione c’è un forte pudore rispetto all’esibizione in pubblico della propria gestualità con conseguenti forme di inibizione gestuale che spesso tradiscono l’imbarazzo del formatore. Se la gestualità viene repressa spesso l’energia nervosa si scarica in altre forme come la postura a braccia conserte, le mani intrecciate o in tasca etc. Rispetto alla gestualità vale una regola apparentemente semplice ma in realtà complessa: non va appresa ma solo praticata in modo spontaneo, autentico e consapevole. Gestualità da evitare: mani ai fianchi (idea di arroganza); braccia incrociate (percezione di chiusura); mani incrociate davanti (idea di imbarazzo); mani intrecciate dietro (docenza spinta); mani congiunte (impressione di remissività); toccarsi il corpo o gli abiti (nervosismo); mani in tasca (atteggiamento non professionale); oggetti in mano parafulmine.

  • ARTEFATTI → abbigliamento, trucco, ornamenti che possono essere letti a distanza maggiore di quella che serve per percepire gli altri segnali inviati dal corpo; i messaggi che l’abbigliamento ci invia su sesso, status sociale, temperamento, umore ecc. del soggetto ci mettono in condizione di adottare il comportamento molto prima di quanto non potrebbe consentirlo un’analisi dei lineamenti e del modo di parlare, per questo motivo è molto importante che il formatore li utilizzi in modo consapevole.

COMUNICAZIONE INTERPERSONALE

L’elemento costitutivo delle relazioni interpersonali è la comunicazione e questi due elementi, insieme, sono componenti fondamentali per lo sviluppo e il benessere dell’essere umano. Joseph Luft e Harry Ingham, ricercatori dell’università della California, negli anni ‘60 strutturarono un modello per studiare la comunicazione interpersonale nelle dinamiche di gruppo. Questo modello, matrice o finestra di Johari (prende il nome da un gioco di parole ottenuto mescolando alcune parti dei loro nomi di battesimo) sostiene che all’interno di una comunicazione ci sono aspetti che sono noti sia a noi stessi che agli altri ed aspetti che invece ci teniamo solo per noi, ci sono cose che gli altri notano di noi e delle quali non siamo consapevoli (o forse non accettiamo) ed un lato oscuro a tutti. La matrice è divisa infatti in quattro quadranti:

  • L’area PUBBLICA (talvolta chiamata anche arena) contiene i fatti e le emozioni che volutamente mostriamo, che mettiamo “in piazza” e di cui parliamo in modo esplicito è quella parte di noi che scegliamo di condividere con gli altri.

  • L’area PRIVATA (o Facciata) contiene quegli aspetti che ben conosciamo di noi stessi, ma che teniamo nascosti agli altri.

  • L’area NASCOSTA (o cieca) è quella che contiene le cose che gli altri osservano di noi e che ci sono ignote e incide sul modo in cui gli altri si relazionano a noi e anche sul livello della nostra disinvoltura in determinate situazioni.

  • L’area IGNOTA contiene quegli aspetti totalmente sconosciuti, a noi stessi e agli altri perché è sepolta nel subconscio.

Le interazioni fra i quattro box determinano i tipi di rapporti che si possono creare all’interno di un gruppo o di un team o di una coppia. Man mano che cresce l’affiatamento del team, della coppia si tenderà a spostare la maggior parte delle informazioni nell’area pubblica e la comunicazione interpersonale diverrà più fluida.

IL PUBLIC SPEAKING NEL CONTESTO FORMATIVO

Conoscere, nei limiti del possibile, il target cui è destinato l’intervento di formazione è la base per stimolarne i bisogni e cercare di soddisfarli. Un buon formatore dovrebbe sempre chiedersi:

  • Chi sono i miei interlocutori ?

  • Se fossi al loro posto cosa stimolerebbe il mio interesse?

  • Quali saranno le loro aree di interesse?

  • Che benefici possono trarre dal mio intervento?

In conseguenza a queste considerazioni derivano due diverse impostazioni: l’Orientamento al copione che non tiene conto delle persone a cui l’intervento si rivolge, ma si focalizza sull’argomento senza preoccuparsi del profilo dell’uditorio, tendenzialmente, questa modalità somiglia ad un monologo ed evita interazioni e domande; l’altro approccio è l’Orientamento al pubblico dove viene dato molto peso all’analisi preliminare del profilo dei partecipanti, il copione esiste ma è una traccia di riferimento che può assumere forme diverse a seconda delle esigenze che emergono in aula.

Info autore

Eleonora Deiana

iscr. albo delgli psicologi del lazio n. 20733

per info e contatti:

3927221170

eleonora.deiana@gmail.com

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