Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività si manifesta con una modalità di disattenzione e/o di iperattività-impulsività che è più frequente e grave di quanto si osservi tipicamente in soggetti con un livello di sviluppo paragonabile. Di solito si osservano comportamenti iperattivi scarsamente modulati, associati a una marcata disattenzione e una mancanza di perseveranza nell’esecuzione di un compito. Le caratteristiche principali sono la mancanza di perseveranza nelle attività che richiedono impegno cognitivo e la tendenza a passare da un compito all’altro senza portarne a termine alcuno, insieme ad una attività disorganizzata, mal regolata ed eccessiva.
Questa modalità di funzionamento causa compromissioni significative in almeno due contesti significativi per lo sviluppo del bambino, a casa, a scuola, e un’interferenza col funzionamento sociale, scolastico o lavorativo adeguato al livello di sviluppo. La classificazione diagnostica del DSM5, come quella del DSM IV, suddividono il disturbo in tre quadri clinici, a seconda della prevalenza dei sintomi di disattenzione (tipo con disattenzione predominante), di sintomi di iperattività/impulsività (tipo con iperattività/impulsività predominante) oppure di un quadro in cui sono presenti entrambi (tipo combinato).
Definiamo il criterio DISATTENZIONE: la disattenzione è stabilita sulla base della presenza di sei o più comportamenti che si presentano con frequenza come ad esempio non riuscire a prestare attenzione ai particolari o commettere errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività. Avere difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco, non ascoltare, non seguire le istruzioni e non portare a termine i compiti scolastici, le incombenze o i doveri sul posto di lavoro (non a causa di un comportamento oppositivo provocatorio o di incapacità di capite le istruzioni); avere difficoltà ad organizzarsi nei compiti e nelle attività; evitare, provare avversione o essere riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto (come i compiti a scuola o a casa), perdere gli oggetti necessari per i compiti o le attività; essere facilmente distratto da stimoli esterni.
Definiamo i criteri per la valutazione dell’IPERATTIVITA’ e dell’IMPULSIVITA’: l’iperattività e l’impulsività sono basate almeno sulla presenza di almeno sei comportamenti che si presentano con frequenza come muovere con irrequietezza le mani o i piedi o dimenarsi sulla sedia; lasciare il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui si deve restare seduto; muoversi e saltare dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui è fuori luogo; avere difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo; parlare troppo e fuori contesto; manifestare impazienza; avere difficoltà a tenere a freno le proprie reazioni; avere difficoltà ad attendere il proprio turno; interrompere spesso gli altri o intromettersi in attività altrui al punto da causare difficoltà nell’ambiente scolastico, sociale o familiare.
La prevalenza del disturbo nei bambini in età scolare varia dall’1% al 20% in rapporto alla rigidità dei criteri diagnostici. Il rapporto tra maschi e femmine oscilla dall’8:1 al 10:1 (Hinshaw, 1994). Alcuni studi longitudinali (Barkley, DuPaul, McMurray, 1990; Manuzza, Shenker, Bonagura, 1985; Mannuzza, Klein, Adalli, 1991) indicano che le manifestazioni spesso persitono nell’adolescenza e nell’età adulta. Anche se spesso l’iperattività può scomparire con l’entrata nell’adolescenza, c’è una forte probabilità che difficoltà di attenzione, problemi nelle relazioni con i pari, problemi scolastici e sequele psicologiche persistano anche nelle età successive. I bambini con disturbo da deficit di attenzione/iperattività sono ad alto rischio per esiti negativi come ad esempio la delinquenza (Satterfield, Hoppe, Shell, 1986), abbandoni scolastici precoci (Weiss, Hechtman, 1986), abuso di sostanze (Gittelman et al., 1985) e difficoltà relazionali (Weiss, Hechtman, 1986).
Al di la dei problemi specifici legati alla regolazione dell’attenzione, al livello di attività e all’impulsività, i bambini caratterizzati da questa diagnosi incontrano spesso degli ostacoli in aree importanti dello sviluppo come l’apprendimento, il controllo dell’aggressività, le relazioni sociali (Hinshaw, 1994). Ognuna di queste aree è chiaramente associata con una prognosi negativa: Aggressività e comportamenti antisociali (Hinshaw, 1987; Biederman, Newcorn, Sprich, 1991; Shaw, Gilliom, Giovannelli, 2000); Apprendimento e risultati scolastici (Hinshaw, 1992; Semrud-Clikeman et al., 1992), Rifiuto da parte dei pari (Milich, Landau, 1982; Whalen, Henker, 1992).
Sono stati anche riscontrati tassi elevati di Disfunzioni Familiari soprattutto a carico di elevati tassi si problemi di attenzione e di apprendimento nei genitori di bambini con disturbo da deficit di attenzione e iperattività che non manifestano comportamenti aggressivi. Inoltre, al di là della psicopatologia di per sé, alti livelli di stress, uno scarso senso di competenza genitoriale e interazioni genitore-bambino conflittuali sono caratteristiche familiari salienti che accompagnano questi disturbi (Anastopoulos et al., 1992; Mash, Johnston, 1990). Sebbene queste caratteristiche siano raramente considerate come cause primarie del disturbo, interazioni stressanti e conflittuali possono certamente contribuire al mantenimento della sintomatologia e anche al decorso del disturbo (Campbell et al., 1991).
Per quanto riguarda i fattori eziologici alla base di questo disturbo come gran parte della psicopatologia infantile, è difficile stabilire una causa eziologica unica. Gli studi in questo campo vanno via via definendo ed identificando: A)le variabili che predispongono al disturbo, cioè fattori di rischio biologico o ambientale che si verificano precocemente e che espongono a una vulnerabilità maggiore; B) eventi precipitanti, cioè fattori che, insieme alle predisposizioni, favoriscono il comportamento disturbato. Entrambi i fattori sembrano necessari per creare il disturbo. Esistono inoltre, una serie di elementi che mantengono o aumentano l’espressione del comportamento disturbato.
Per quanto riguarda i fattori genetici, una chiara anomalia genetica è stata riscontrata solo in una piccola parte dei casi. Tuttavia, le ricerche indicano una familiarità del disturbo nei parenti biologici dei bambini con disturbo dell’attenzione che non presentano condotte aggressive associate, mentre nei bambini con aggressività associata è stata trovata una familiarità legata a disturbi dello spettro antisociale nei parenti biologici maschi.
Per quanto riguarda i fattori di rischio familiari, sebbene sia difficile separare i fattori di rischio biologici da quelli relazionali come agenti causali del disturbo, una ricerca di Jacobvitz e Sroufe (1987) ha trovato una presenza di interazioni madre-bambino iperstimolanti e intrusive come fattore causale primario in un campione ad alto rischio psicosociale. Tuttavia è probabile che lo sviluppo di molti casi di disturbo dell’attenzione sia l’esito di un complesso intreccio di fattori intraindividuali, familiari e ambientali. È probabile inoltre che la sintomatologia sia multi determinata e che linee eziologiche sostanzialmente differenti possano contribuire a pattern comportamentali simili nei diversi sottogruppi.
Bibliografia
Jacobvitz, D., Sroufe, L.A., (1987) The early caregiver-mother relationship and attention deficit disorder with hyperactivity in kindergarten: A prospective study. Child development, 58, pp 1488-1495
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Amanniti, M., Stern, D.N., (1991) (a cura di) Rappresentazioni e narrazioni. Laterza, Bari
Amanniti, M., (2001) (a cura di) Manuale di psicopatologia dell’infanzia, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Mash, E.J., Johnston, C. (1990) Determinants of parenting stress: illustration from famiglie of hyperactive children and famiglie of physically abused children. Journal of clinica child psychology, 19, pp. 313-338.
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Whalen, C.K., Henker, B. (1992) The social profile of attention-deficit hyperactivity disorder: five fundamental facets. Child and adolescent Psychiatric Clinics of North America, 1, pp. 395-410.